Swami Veetamohananda

 

Come praticare la meditazione secondo il Vedanta

 

Traduzione a cura di Franca Mussa n. 17

 

La realizzazione del nostro essere profondo passa per tre stadi; il primo è la ricerca di Dio,poi viene il risveglio dell’anima individuale. Al terzo stadio, la via verso l’infinito prende la forma di tre correnti, le correnti della coscienza che legano l’anima individuale all’infinito.

1)      la corrente del suono (Nada o Shabda).

2)      la corrente di luce.

3)      La corrente d’amore.

Appena il risveglio dell’anima individuale (cioè la trasformazione di sé) è avvenuto e noi penetriamo l’una o l’altra di queste correnti, il nostro progresso spirituale è determinato quasi intermente dalla natura e dalla forza della corrente che ci trascina.

Con il risveglio dell’anima individuale, lo sforzo personale arriva più o meno alla fine, e noi siamo allora nelle mani del Divino. E lo Yoga individuale si integra nello Yoga Divino.

La rapidità con cui ora progrediremo dipende da tre fattori:

-         l’intensità dell’aspirazione della nostra anima;

-         il nostro potenziale spirituale

-         e la grazia del Divino.

Più l’aspirazione è forte, più rapido è il progresso. Ogni aspirante nasce con un certo fondo di potenziale spirituale: la somma totale dei samskara residui acquisiti attraverso le lotte spirituali nelle vite precedenti. Nel corso di questa vita presente, lui o lei non può realizzare che questo potenziale. Tutto ciò che otterrà in più, deve essere attribuito alla grazia Divina. Come Sri Ramakrishna aveva l’abitudine di dire, la grazia di Dio soffia senza arresto, ma noi dobbiamo vegliare per spiegare le nostre vele: “spiegare le nostre vele” significa compiere uno sforzo personale e questo sforzo personale si deve perseguire fino al risveglio dell’anima.

Abbiamo parlato di tre correnti di coscienza aldilà del punto di risveglio personale. Possiamo sceglierne uno come vogliamo? No, perché ci spostiamo spontaneamente in essi secondo la costituzione elementare della nostra anima. La coscienza non si manifesta nello stesso modo in noi. Certamente sono più sensibili al suono e ai simboli del suono come le lettere dell’alfabeto e i segni matematici. Altre sono più sensibili alla forma, al colore e alla luce. Per un numero abbastanza grande, la coscienza è essenzialmente un’esperienza dello spostamento della volontà o dei sentimenti. C’è un piccolo gruppo di persone la cui coscienza si orienta soprattutto verso l’anima e che trovano che è più facile conservare la propria coscienza personale che una coscienza oggettiva.

La coscienza di un debuttante è generalmente un miscuglio confuso di queste quattro forme d manifestazioni. Ma negli stati avanzati della vita spirituale queste differenze assumono importanza e, con il risveglio dell’anima, dopo aver attraversato la “soglia d’oro”, determinano la corrente di coscienza lungo la quale l’anima va spostandosi. Di queste quattro forme di coscienza citate, la coscienza di sé appartiene alla via di conoscenza Jnana, i simboli sonori, la volontà o il sentimento appartengono alla via del devozione, Bhakti.

Secondo il Vedanta, il suono, Shabda, è una manifestazione particolare della coscienza, di cui la forma più grossolana è la parola parlata. E’ il senso che apporta un potere alle parole. Non possiamo né pensare, né comunicare senza le parole. Dietro ogni parola, c’è un senso. Che cos’è il senso? E’ una forma di potere della coscienza che rivela la conoscenza e unisce il soggetto all’oggetto. I grammatici indiani di un tempo lo chiamavano Sphota o esplosione. Così dietro ogni parola  c’è un senso, dietro il senso c’è un’esplosione e dietro questo potere c’è la coscienza. Fu una delle grandi scoperte che furono fatte in India. Panini, uno dei più importanti grammatici, formulò i suoi principi verso l’anno 500 avanti Gesù-Cristo.

Questo portò ad un’altra scoperta. Se ogni uomo dava i proprio senso alle parole che impiega, sarebbe impossibile comunicare con gli altri. Ciò dimostra che tutte le parole, infatti, tutte le lingue, sono basate su un universo comune di significato. Ciò vuol dire che c’è un potere esplosivo universale associato a Brahman, la Coscienza Cosmica. Questo potere universale che porta il significato è chiamato il Suono-Brahman o Nada-Brahman, il Logos – Hindu, come diceva Swami Vivekananda. E’ perché esiste questo substrato universale comune, che è possibile alle genti comunicare tra loro nel mondo e comprendersi gli uni gli altri, anche senza dover utilizzare le parole.

Come conosciamo un oggetto?

Secondo le teorie vedantiche della percezione,la mente esce, per mezzo dei sensi, come una sonda e prende la forma dell’oggetto, mentre la luce dell’Atman illumina l’interno della “sonda” e rivela la forma dell’oggetto. Ma secondo gli antichi grammatici indiani, è il Suono-Brahman che rivela le immagini e gli oggetti del mondo esteriore nella mente e, in seguito, comunica questa conoscenza agli altri per mezzo della parola. E’ questo potere rivelatore, manifesto, che fa sorgere le parole, che è indicato con il termine “esplosione” o scoppio.

L’apertura verso l’esterno o il movimento rivelatore del Suono-Brahman, avviene in quattro stadi:

1)      al primo stadio, la conoscenza è come una coscienza indifferenziata;

2)      allo stadio seguente, essa separa la parola, vak, e il suo significato, ma essi restano legati in una unità, come le due metà di un seme. E’ il livello dell’intuizione, il piano dell’intelletto, la buddhi;

3)      al terzo stadio, la conoscenza  separa il Suono-Smbolo e il suo significato come una bolla d’aria. E’ il livello del pensiero ordinario, il piano della mente o manas;

4)      infine, quando noi parliamo, la “bolla” scoppia e il significato contenuto nel Suono-Simbolo è comunicato all’uditore.

La meditazione è l’inverso di questo movimento verso l’esterno.

Il culto esteriore e il canto a voce alta dei Mantra rappresentano questo quarto stadio. Di là noi passiamo allo stadio in cui ripetiamo un Mantra mentalmente e pensiamo al suo significato, cioè noi visualizziamo l’immagine della Divinità. Quando la meditazione si approfondisce, il Mantra e l’immagine si avvicinano sempre di più l’una all’altra, finché sono infine unificate, e noi raggiungiamo allora lo stadio del risveglio spirituale.

E noi siamo portati dalla corrente del suono.

Benché il Suono-Brahman sia infinito e onnipervadente, si situa in due punti o centri in ogni persona: Un punto superiore, l’Ajna Chakra, e un punto inferiore, nel cuore, l’Anahata Chakra. Nella scienza dei Mantra, il punto rappresenta l’anima individuale,la corrente di forza della coscienza tra i due punti, è chiamato suono.

Al punto inferiore, il suono è separato in parola e nel suo significato. Come abbiamo detoprima, coiò rappresenta lo stadio di risveglio spirituale. Questa separazione del suono che prosegue senza arresto al punto inferiore, produce il suono eterno, senza origine, “non percosso” chiamato Anahata-Dwani, “intenso” “sentito” dagli yogi nel loro cuore. Non tutti gli yog ilo sentono,ma soltanto quelli la cuimente è sensibile alle vibrazionisonore.

Nel loro caso, il risveglio spirituale significa il risveglio del punto situato nel cuore, segnato dalla coscienza del suono “senza origine”, Anahata-Dwani.

Come avviene questo risveglio? Negli aspiranti la cui mente è più sensibile al suono e orientata verso la parola, il risveglio è prodotto dal potere della parola. Le parole ordinarie hanno un potere limitato e si rapportano agli oggetti fisici o alle idee mentali. Ma ci sono parole particolari o parole-formule chiamate Mantra, che si rapportano agli oggetti soprascritti e che hanno i potere di rivelare la verità spirituale. Le parole ordinarie hanno solo un potere, il potere di designare il potere di comunicare il significato. Se voi vedete un elefante e dite:” io vedo un elefante”, la frase comunica la vostra conoscenza. La ripetizione della frase, “io vedo un elegante”, non aggiungerebbe nulla alla vostra conoscenza né a quella degli altri. Ciò non farebbe nessuna differenza se vi esprimeste in un’altra lingua, per esempio in Latino o in Ebraico. Anche i Mantra hanno questo potere di comunicare il significato. Per esempio, il significato del MantraNamah Shivaja” è “Saluti a Shiva” e questo significato può essere espresso in qualunque lingua. Se questo significato è conosciuto, perché le persone continuano a ripetere il Mantra? Ciò dimostra chela sua ripetizione ha una finalità ben superiore.

Questa finalità è il risveglio dell’anima e la percezione diretta soprasensibile della forma spirituale reale della Divinità. Ogni vero Mantra ha il potere intrinseco di produrre queste esperienze superiori. Questo potere mistico inerente al Mantra è il suo vero potere. Solo le radici originali e la struttura della sintassi del sanscrito possono servire da veicolo a questo potere, che perde quando è tradotto in altre lingue. Questo potere resta assopito quando il Mantra è ripetuto senza concentrazione, senza purezza né devozione. Per risvegliare la forza del significato, Vacara Shakti, di un Mantra, un altro potere è necessario: il potere della pratica spirituale. Con la purificazione, la concentrazione e la devozione, si possono fare agire armoniosamente e aritmicamente i due canali dell’energia psichica chiamati Ida e Pingala.

Quando la ripetizione del Mantra è armonizzata con questo ritmo interiore, il Mantra diventa lentamente risvegliato. Una volta che è risvegliato,la sua ripetizione porta molto presto al risveglio dell’anima.

Come dicevo prima, dopo il risveglio dell’anima, il cercatore entra nella corrente del suono, Nada. Come può andare oltre? Certi aspiranti seguono la traccia del suono “Om” e si dirigono verso l’Aspetto senza forma della Realtà. La maggior parte degli altri ricercano una visione diretta della loro Divinità d’Elezione. Il risveglio dell’anima non è che la prima funzione di un Mantra. La seconda e più importante funzione è ricondurre l’anima alla Divinità.

Questo potere del Mantra di rivelare la Divinità concentrata in una sillaba mistica chiamata “Bija” seme. Ogni corpo vivente, animale, umano o divino, è costruito secondo un tipo fondamentale, che è lui stesso il risultato dell’evoluzione di un codice o di una formula primordiale. La totalità del corpo umano non è che una versione dispiegata del codice genetico, che gli scienziati hanno scoperto nei cromosomi. Nello stesso modo, lo spirito umano ha anche lui il proprio codice primordiale nascosto nel “punto” Bindu. Il corpo spirituale di una divinità, consiste di elementi altamente raffinati (sattvici) ha anche il suo proprio codice primordiale. E’ ciò che è conosciuto come “seme” bija. Il seme rappresenta la caratteristica unica e i poteri della Divinità. Non è un semplice simbolo, ma un seme vivo che, quando è risvegliato, materializza la forma spirituale della Divinità.

Il “seme” non manifesterà il proprio potere, se non quando il punto, bindu, (cioè l’anima) si è risvegliato. Dopo che l’anima individuale si è risvegliata, entra nella corrente del suono, ma non si dirige verso la Realtà senza forma, il “seme” la svia verso la Divinità. E’ come se voi saliste su un treno che va a Parigi, a Gretz e discendeste a Ozoir o a Val-de-Fontaney.

Il seme è l’anello che unisce il Brahman impersonale alla Divinità personale.

Un Mantra è formato generalmente da quattro sillabe:

1)      l’Om che rappresenta l’Impersonale;

2)      Il seme che è il legame che unisce l’Impersonale alla Divinità

3)      Il nome della Divinità

4)      Una parola che indica il saluto o l’abbandono.

Lo studio dei Mantra è in se stesso una scienza. Avremo forse l’occasione di studiarla in futuro.

I cercatori spirituali le cui menti sono più sensibili alle immagini e al colore più che al suono, si muovono sul cammino della luce. Per “luce” si intende la luce della coscienza. L’esperienza di questa luce è l’esperienza fondamentale che si può fare su questo cammino. Il risveglio dell’anima viene sperimentato come la percezione di luce nel cuore. Di qui, come nella corrente del suono, si può andare al senza forma o a una delle forme divine del Signore. [ E’ così che noi la pratichiamo, qui nel nostro gruppo di meditazione]. Nel primo caso, il progresso è semplicemente una intensificazione progressiva ed un aumento della luce, che culmina nella visione di Dio, oceano infinito di luce o sole risplendente. Nel secondo caso, l’immagine della Divinità sulla quale si medita, diventa sempre più reale e luminosa [Anche questo lo abbiamo praticato nel nostro gruppo di meditazione].

Intensificando la meditazione, la visione della Divinità divine e di una dolcezza e di una bellezza estrema. Le Upanishd citano spesso il sole come il simbolo dell’irraggiamento divino.

La Chandogja Upanishad, per esempio, parla del carattere immediato di una visione che si svolge davanti l’occhio interiore di un saggio: “Ora egli vede nel globo solare questa persona d’oro, con la barba dorata, i capelli dorati, e che irraggia luce magnificamente fino alla punta stessa delle unghie” [Ecco perché anche noi prendiamo il sole come uno degli oggetti della meditazione].

Questa luce superiore non è un simbolo o un’immaginazione. E’ qualcosa che si può sperimentare direttamente quando l’intelletto è purificato. Possiamo immaginarci di vedere diverse forme e sbagliarci credendole vere. Ma questa luce ha una folgore rassicurante  più reale, più pura e così brillante quanto il sole e anche di più.

C’è un numero di aspiranti spirituali, la cui coscienza è più orientata verso i movimenti della volontà e dei sentimenti che non verso le esperienze del suono e della luce.

Questi aspiranti entrano nella corrente di coscienza centrata su Dio, dopo il risveglio dell’essere interiore. Questa coscienza centrata su Dio è così potente che attira a sèi sensi e la mente, le emozioni e gli umori, gli istinti e le pulsioni. Ciò che l’aspirante sperimenta, è la potenza, non i suoni e le immagini, perché tutti i nomi e le forme, i concetti e i ricordi, sono sommersi in questa impetuosità del richiamo spirituale.

Per questi aspiranti, il risveglio dell’essere interiore può non essere segnato dall’ascolto del suono “senza origine” o dalla visione della luce interiore, e prende piuttosto la forma di un desiderio intenso o di un’ aspirazione per Dio. L’aspirazione spirituale ordinaria non è che una specie di interesse per le cose superiori, o al meglio, un desiderio negativo di essere liberato dalle difficoltà  dalle sofferenze. Essa diventa un’aspirazione positiva, sotto la forma di un intenso amore per Dio,solo quando l’aspirante ha gustato un poco la felicità più alta. Questo gusto viene soltanto con il risveglio dell’essere interiore. E’soltanto dopo aver aftto l’esperienza della gioia dell’Atman, che l’aspirante percepisce una intensa impazienza per la felicità suprema di Brahman.

Sri Ramakrishna dice a proposito di questa fame dell’anima: “All’avvicinarsi dell’alba,, l’orizzonte verso est diventa fiammeggiante. Si sa allora che presto rileverà il sole. Allo stesso modo, se vedete una persona che si preoccupa vivamente di Dio, potete essere sicuri che non dovrà attendere più a lungo, per avere la sua visione”.

Il risveglio dell’essere interiore lancia l’anima nella corrente della coscienza di Dio. Essere coscienti di Dio significa andare oltre la semplice, nozione popolare, chela devozione è una specie di emozione. In tutte le Scritture, le emozioni sono considerate come un ostacolo alla devozione. La devozione non è una forma di desiderio, perché il desiderio ha la natura della costrizione. I piani spirituali superiori non possono essere raggiunti, che da una facoltà superiore. Nella via della conoscenza, la facoltà più elevata utilizzata è l’intelligenza superiore o intuizione. Nella vai della devozione, la facoltà più alta utilizzata è la volontà.

Che cosa si intende per volontà? E una concentrazione della coscienza. E’ l’aspetto dinamico dell’intelligenza, esattamente come la coscienza è l’aspetto statico dell’intelligenza.

Come la coscienza individuale non è che una parte della coscienza suprema di Dio, allo stesso modo la volontà intellettuale non è che una parte della Sua Volontà Suprema. La volontà è l’impulso creativo primordiale. Le Upanishad dichiarano che, all’inizio, c’era un solo essere non duale. Poi, egli decise: “Che io sia il molteplice” E’ questa volontà primordiale creatrice del Divino, che agisce in tutti gli esseri umani come la volontà individuale.

Quando la volontà individuale è diretta verso il basso, diventa schiava degli istinti e delle emozioni, quando è diretta verso l’esterno, si attacca a gli oggetti dei sensi.

E’ così che nascono l’amore mondano e l’attaccamento. Quando può la volontà liberata dalle emozioni e dagli oggetti esteriori, ed è orientata direttamente verso Dio, diventa devozione.

Dunque la devozione è la pura volontà diretta verso Dio.

Molti mistici cristiani hanno distinto la carità (amore dell’uomo per Dio) e l’agape (amore di Dio per l’uomo) identificando i primi due alla volontà e l’ultimo alle emozioni.

“Il secondo segno distintivo della carità, ha detto Santa Teresa, è che, a differenza delle forme inferiori dell’amore, non è un’emozione. Comincia come un atto di volontà ed è compiuta come una coscienza puramente spirituale, una conoscenza di amore unitivo dell’essenza del suo oggetto”.

Qual è la relazione tra l’amore umano e la devozione? Hanno entrambi la volontà pura come nocciolo centrale. Ma, nell’amore umano, la manifestazione della volontà è limitata e deformata dalle emozioni, mentre nella devozione, è pura e senza impedimenti. E’ ciò che voleva dire Swami Vivekanada rispondendo così alla domanda: Come sviluppare la devozione, “La devozione è in voi, solo un velo di bramosia e di ricchezza la ricopre. Quando sarà tolto, la devozione si manifesterà da se stessa”. La volontà è il potere della coscienza, e dunque l’amore è un potere. E’ uno dei principi fondamentali della devozione. Se l’amore di Dio non fosse nient’altro che il distacco e la proiezione verso Dio della volontà, allora la devozione sarebbe solo una contemplazione calma e tranquilla di Dio e si potrebbe difficilmente differenziarla dalla conoscenza, jnana. Infatti, è ciò che certi grandi maestri considerano come la vera devozione. Esattamente cometa conoscenza non è che una manifestazione dell’aspetto coscienza di Brahman, così le emozioni consono che una manifestazione dell’aspetto felicità di Brahman.

Appena la volontà è liberata dall’influenza degli istinti primitivi ed è diretta verso Dio, è resa più forte dalla grazia di Dio e, come tale, può portare le emozioni verso Dio.

Ogni emozione che è in rapporto con una tale volontà spiritualizzata, sarà infiammata, purificata e trasformata. E’ la capacità d’integrare e di trasformare le emozioni e i sentimenti ordinari, che differenzia la devozione, Bhakti, da tutte le altre discipline spirituali, e che la mette alla portata dell’uomo comune. Benché la devozione non sia un’emozione, tutta la sua diversità, il suo calore e la sua ricchezza nascono dall’associazione con le emozioni.

La contrazione su Dio, della volontà purificata, infiammata e fortificata dalle emozioni sublimate, ecco ciò che significa Bhava, l’emozione spirituale.

Appena si compie il risveglio interiore, l’aspirante è preso nella corrente dell’emozione spirituale e si pone in essa. Come progredisce in seguito? Quali sono le sue esperienze, quali sono le tappe che attraversa? C’è una grande ricchezza e una grande varietà di informazioni su questo argomento nella lettura devozionale dell’Induismo, del Cristianesimo e dell’Islam con il Sufismo.

In fatto di progressi, non vogliamo parlare delle visioni e delle altre esperienze soprannaturali, ma dell’intensità della devozione. L’intensità della devozione non significa esuberanza emozionale, ma la forza con cui la volontà purificata e le emozioni convergono verso Dio. Siccome l’aspirante fa in ogni momento l’esperienza spontanea di questa convergenza interna, può anche non sentire il bisogno di passare lunghe ore di meditazione.

Il secondo punto e che, mentre l’aspirante progredisce, la sua relazione con Dio passa attraverso cambiamenti importanti. Dapprima, anche dopo il risveglio dell’essere interiore, egli può continuare a sentire chela sua Divinità eletta resta esterna alla sua anima, benché possa sentire la volontà divina come un richiamo verso il centro della sua anima.

Allo stadio seguente, fa l’esperienza della presenza della Divinità nella sua anima come l’Essere Supremo o il Controllore Interno.

Nel terzo stadio, la presenza divina percepita interiormente ed esteriormente, in tutti gli esseri e in tutti i luoghi.

Questi stadi sono descritti in modo diversi nella letteratura devozionale, ma si dice ovunque la stessa cosa: c’è un movimento progressivo verso una unità più forte tra l’anima individuale e l’Essere Supremo.

Il terzo punto è che la natura stessa della devozione cambia per l’aspirante man mano che progredisce.

Per cominciare, la devozione non è che un’emozione, in parte negativa (il desiderio di essere liberato dalla sofferenza), e in parte positiva (il desiderio di un essere sconosciuto), che sia forza di guadagnare la supremazia sulle altre emozioni.

Poi, la devozione diventa la volontà pura centrata su Dio. In questi due stadi la devozione non è che un mezzo, una modificazione della mente, uno sforzo, e benché unti alla devozione inferiore, non è la devozione vera. La vera devozione è un fine a sé, l’esperienza più alta, la realizzazione. L’esperienza di che? Quella della felicità dell’ultima realtà, non la felicità impersonale, ma quella che ha preso la forma della divinità Suprema. E’ la più alta forma di vera devozione.

In altri termini, la “forma inferiore di devozione” è l’amore dell’uomo per Dio, mentre la forma superiore di devozione è l’amore di Dio per l’uomo.

Come l’amore non è diverso da colui che ama, la devozione superiore non è differente da Dio: è l’abbandono a Dio, è la condivisione della sua propria felicità con l’anima umana. E’ il latte dell’Amore divino che nutre tutti gli esseri, e si manifesta in amore umano.

Nella spiritualità cristiana, molti grandi santi e mistici hanno praticato una via unica di contemplazione chiamata “via negativa” o apofatismo. E’ fondata su due dottrine. Per l’una, la conoscenza umana avviene quando la luce di Dio, passando per l’intelletto, illumina le immagini mentali, le parole, le idee, chiamate collettivamente “phatasmata”. Se queste phatasmata sono soppresse, è possibile vedere la Luce Divina in aiuto delle pure specie intellettuali chiamate “Lumen Sapientiae”. E’ un’esperienza mistica che, tuttavia, non rivela l’essenza di Dio come una realtà, perché egli può essere percepito direttamene solo in paradiso, dopo la morte, da una visione beatifica, Lumen Gloriae.

L’altra dottrina, sostenuta tra altri, da San Giovanni della Croce,  è che la volontà  umana, quando è liberata dalle immagini sensoriali mentali così come dai desideri, può sentire il contatto diretto di Dio come un tocco divino, un abbraccio o una unione. Nella via apofatica dell’aspirante, gli è richiesto di sopprimere non soltanto le immagini mondane e le emozioni, ma anche ogni rappresentazione, immagine o concetti di Dio. Ne risulta che deve passare per quella che si chiama “la notte oscura” o la “nube della conoscenza” prima di ottenete la vera esperienza di Dio.

In termini di pensiero vedantico, l’apofatismo è una prova per applicare il “asamprajnata yoga” lo yoga senza desideri, nella via della devozione, svuotando la mente dalle fluttuazioni del pensiero. Egli cade allora nella corrente di Bhava descritta precedentemente.

La sola differenza è che, nella via della devozione, la mente non è mai lasciata vuota, e la si fa sempre fissare in una bella immagine divina o in un Mantra. Tuttavia, lo scopo ultimo della meditazione è di aiutarci a cercare Dio. Se dimentichiamo questo e ci preoccupiamo solo della tecnica,come le differenti tappe, le parole da dire, le preghiere da fare, le visualizzazioni, il numero di Mantra da recitare e così di seguito, la meditazione degenere gradualmente in un automatismo mentale, una abitudine meccanica, e un nuovo problema si aggiungerà alle centinai che abbiamo già.

Per tutti i cercatori di Dio, la regola d’ora da seguire sempre è questa: non lasciamo scivolare niente tra la nostra anima e Dio.