Swami Veetamohananda

VIVEKA CHUDAMANI

(Il gran gioiello della discriminazione)

(versetti 48-58)

Traduzione a cura di Amanzio Borio

 

“Chi sono io?” è una questione che ha tormentato l'umanità dall'alba delle civiltà. Ed ancor oggi, tutti i ricercatori sinceri se la pongono senza che sia veramente risolta. Le risposte, che vanno dal sacro al profano, dal complesso al più semplice, dallo scientifico al romantico, dal politico all'individuale sono numerose. Ma la loro moltitudine non ha tuttavia liberato l'uomo dal suo stato di asservimento. Molto fortunatamente, alcune rare anime pure possono invece portargli una risposta e liberarlo dall'asservimento.

( 48 ) Un ricercatore, il discepolo, parla con il suo istruttore:

“Maestro, ascoltate, vi prego, le domande che vi pongo. Sarò felice se posso sentire una risposta dalla vostra bocca.

49. Come spiegare realmente l'asservimento? Come è cominciato? Dove si è radicato? In che mondo liberarsene? Che cosa è il non-Sé, il non- Atman ? Che cosa è questo Atman supremo? Come si può distinguerli? Chi sono io e chi siete voi? Da dove vengo? Chi è mia madre? Chi sono i miei avi? Ecco quali sono le mie domande. Per favore parlatemi di tutto questo”.

Per quelli che sono impegnati in una ricerca sincera della verità (la Realtà), la grazia dell'Onnipotente è senza limiti. L'istruttore spirituale, grazie a cui fluisce la grazia dell'onnipotente, risponde:

50. “Tu sei benedetto, in verità. Perché ti avvicini alla meta. Tutta la tua famiglia è purificata grazie a te, perché tu aspiri a liberarti del giogo dell'ignoranza per raggiungere Brahman - la Realtà.

51. Un padre ha dei figli e degli amici per liberarlo dai suoi debiti, ma non ha che se stesso per liberarsi dai suoi legami”.

L' Upanishad Taittyrya rende questo punto più chiaro:

“Alcuni hanno raggiunto l'immortalità non attraverso atti, non grazie alla loro discendenza o alla ricchezza, ma unicamente attraverso la rinuncia”.

Comprendiamo questo anche grazie a quello che Maitreyi, una grande santa del periodo upanishadico, dice al suo sposo, il grande saggio Yainavalkva, presso cui si istruisce: “A cosa potrebbe servirmi la ricchezza se il suo possesso non può rendermi immortale?”

Ed ascoltiamo cosa dice Shankara: “La giovinezza svanisce, cosa c'è di buono nella passione? Con la sua acqua evaporata a cosa potrebbe servire un lago? Dove trovare amici e parenti dopo che tutto il nostro denaro è volato via? E' strano il mondo mortale! La vita è incerta come gocce di pioggia su una foglia di loto. Tutta l'umanità e in preda al dispiacere, alla malattia ed alla sofferenza”.

52. E, nel versetto cinquantadue della Viveka Chudamani, egli dice: “Gli altri possono alleviare la sofferenza causata da una preoccupazione che grava sul nostro capo, ma la sofferenza che viene dalla fame, dalla sete, etc. può essere alleviata solo da noi stessi”.

53. Così, per esempio, il malato che prende medicine e segue le regole per ristabilirsi, tornerà sano grazie alla sua azione e non per quella degli altri.

Questo mostra che bisogna mettere l'accento sulla solidarietà spirituale dell'umanità. Questo accento sulla solidarietà spirituale dell'uomo può non mostrare risultati spettacolari, ma essa agisce sulla motivazione degli esseri umani e porta come risultato un miglioramento generale della situazione umana, dilaniata da lotte di ogni tipo.

Tutto ciò che va nel senso della realizzazione di questa aspirazione deve essere accettato, e tutto ciò che va nel senso contrario deve essere rigettato. Nella realizzazione progressiva di questa finalità del benessere generale c'è posto per una nuova sperimentazione nei modi, ma il fine è sempre la liberazione.

54. Ecco perché “la vera natura delle cose deve essere conosciuta personalmente attraverso l'occhio dell'illuminazione interiore e non attraverso gli occhi di un saggio, chiunque egli sia.

E' con i nostri occhi che noi vediamo a cosa assomiglia la luna, come potremmo saperlo con gli occhi di un altro?”

La nostra liberazione e la nostra felicità nascono dalla nostra conoscenza profonda. La nostra vita spirituale diventa del tutto impeccabile solo quando è unita alla nostra personale realizzazione della verità.

Noi non dovremmo accontentarci del sentito dire o della tradizione, delle leggende o di quello che è scritto nei libri sacri. Prendiamo l'esempio di Swami Vivekananda: egli non ha mai smesso di verificare le esperienze dei suoi maestri spirituali.

E Sri Ramakrishna non considerava Dio o la Realtà come un'evidenza.

Egli l'ha scoperta da sé. Egli l'ha cercata prima di trovarla, rimettendo tutto in discussione. Egli ha creduto solo dopo aver visto. E quello che ha visto non era nient'altro che la Realtà, perché la Realtà era, è, e sarà. E che la realtà era tutto ciò che esisteva egli lo sapeva perché essa era, ed essa era perché egli lo sapeva. La storia delle sue ricerche e dei risultati può essere letta come una relazione clinica.

Narendranath, molto prima di chiamarsi Swami Vivekananda è andato da Sri Ramakrishna come un provocatore incredulo. Ma egli era puro fino alle sue radici, onesto fin nell'intimo del suo cuore, coraggioso fino alla disperazione e pronto ad andare in qualsiasi posto per seguire la verità.

All'inizio prendeva in giro Sri Ramakrishna, che vedeva Dio, la Realtà, in ogni cosa e come ogni cosa. Ma quando, con il suo temperamento completamente scientifico, ancora più accentuato dalla sua ricerca, lo vide anche lui, poteva dire ben altra cosa, come persona veritiera, e cioè: “Adesso io non posso rifiutare le conclusioni della filosofia dell'Advaita”.

Swami Vivekananda ha fatto un lavoro interiore enorme, indispensabile alla nostra generazione di increduli malgrado noi. Per tutti, egli brilla come l'esempio di colui che cerca e trova una via. Egli ha perorato la nostra causa apertamente presso Dio e la Realtà, e, dopo averla veramente conosciuta, è tornato a noi con tutto il suo amore per spiegare e guidarci. Anche lui ci esorta a trovare la verità da noi stessi domandandoci: “Perché non posso conoscere la Realtà?” Non è possibile sfuggire alla verità più che all'esistenza stessa. Noi non sfuggiamo da noi stessi. E' quello che insegna con forza: “Osate affrontare la vostra profondità e le vostre possibilità”.

Noi tutti abbiamo bisogno di ascoltare l'appello dei saggi vedici al cammino, il cammino interiore e quello esteriore. Solamente avanzando noi miglioreremo, solamente avanzando incontreremo dolcezza e luce.

L'ignoranza e felicità, non è vero? Essa ci permette di sentirci bene senza ciò che potrebbe farci star male. Essa ci fa glorificare noi stessi di ciò di cui dovremmo vergognarci. Noi non abbiamo alcun mezzo per sapere che noi non sappiamo. Così, quello che noi sappiamo non è conoscenza, è l'ignoranza di ciò che non conosciamo. Portare una maschera di intelligenza invece di soffrire violentemente della nostra ignoranza primitiva, e dare l'impressione di trovarcisi bene è sofisticazione o non invece, sicuramente, decadenza?

Del resto, ascoltiamo Sri Ramakrishna: “ Quando ero nella pancia di mia madre, ero in uno stato di yoga. E venendo al mondo ho gustato la sua terra”. La donna saggia ha tagliato il cordone ombelicale, ma come taglierò il cordone dell'ignoranza ( Maya )?

Maya non è nient'altro che la bramosia e l'invidia. Un uomo non raggiunge lo stato di yoga se non quando ha liberato il suo spirito da queste due debolezze. Il Sé, il Sé Supremo, è come una calamita e l'anima individuale come un ago. L'anima individuale sperimenta lo stato di yoga quando è attirata dal Sé Supremo verso di lui. Ma una calamita non può attirare l'ago se è coperta di terra. Lo può solo quando la terra è stata tolta.

55. Shankara dice: “Questi vincoli che ci legano, le cui cause sono la nostra ignoranza, i nostri desideri, le nostre brame, e i frutti del nostro karma, chi altri se non noi stessi potrebbe scioglierli, anche durante innumerevoli secoli?”

Tutta la forza della vita ha bisogno di essere potentemente progettata per liberarci dalla schiavitù del samsara.

56. Il versetto seguente è molto significativo.

“ Non è con la pratica dello yoga o con la filosofia Samkhya , né con le buone azioni, né con lo studio che viene la liberazione, essa viene solamente realizzando che Atman e Brahman sono uno - non c'è nessun altro modo”.

La conoscenza più elevata dell'identità assoluta dell'anima individuale con la Realtà Suprema, per il Vedanta non - dualista, è la via suprema verso la liberazione. Di più, Vyasa , il grande commentatore degli Aforismi dello Yoga, afferma: “Lo yoga dev'essere conosciuto attraverso lo yoga, lo yoga si manifesta con lo yoga”.

Dunque, la via dello yoga può trasformare il nostro orizzonte teorico. Essa può condurci a mondi nuovi e assicurarci nuovi poteri. Per lo yogi le questioni metafisiche non sono un fine. Il suo scopo è di sperimentare veramente la Realtà - il regno del Sé aldilà della personalità e del mondo fenomenico.

E' proprio per arrivare a questo punto che Shankara denuncia tutto ciò che è considerato a torto come yoga: “Le capacità psico-mentali non sono yoga. Gli allucinogeni possono portare esperienze strane che non sono esperienze yogiche.”

Il vero yoga non è tornare a forme primitive di coscienza o acquisire poteri magici. Lo yoga praticato solamente come hata yoga non è che cultura fisica per il corpo. Esso non conduce all'illuminazione spirituale. E' per questo che Shankara dice che è solo attraverso la yoga che la realizzazione è raggiunta.

Ascoltiamo anche cosa dice Sri Ramakrishna, il perfetto yogi dei nostri tempi.

“Colui che pratica l'hata yoga si occupa soprattutto del suo corpo. Egli pulisce i suoi intestini con un bambù che fa penetrare nel suo ano, aspira burro chiarificato e latte con il suo organo sessuale. Apprende a manipolare la sua lingua facendo degli esercizi. Si siede in una postura corretta e, ogni tanto, levita. Tutto questo è questione di prana (l'energia vitale). Un mago stava facendo questo quando la sua lingua si rovesciò e gli si incollò al palato. Immediatamente il suo corpo diventò inerte. La gente pensò che fosse morto. Egli fu sepolto e restò nella tomba diversi anni. Dopo un certo tempo la tomba, non si sa come, fu aperta. L'uomo improvvisamente riprese coscienza del mondo e gridò: ecco l'illusione! Ecco la confusione! - Come accade con tutti i maghi per attirare l'attenzione degli spettatori”.

Un po' più avanti, Sri Ramakrishna dice: “I vedantini non accettano l'hata yoga”.

Noi abbiamo esaminato differenti punti di vista in relazione alla pratica dei tipi di yoga inferiore che non conducono alla Realizzazione del Sé. Ecco perché Shankara afferma che solo la realizzazione del Sé porta alla liberazione.

Secondo il sistema filosofico Samkhya , la verità è realizzata attraverso un calcolo matematico ed una riflessione accurata sul Sé - Purusha o la Coscienza Suprema - e sulla Natura Suprema ( Prakriti ). La gente soffre a causa dell'ignoranza che ha della relazione esatta tra il Sé ed il non-Sé, e di quella che concerne il conscio e l'inconscio, il noumeno cosciente, Purusha , ed il noumeno inconscio, Prakriti . Quando l'uomo comprende questa relazione e realizza la natura del noumeno cosciente, Purusha , è liberato dalle sofferenze e raggiunge la sua vera natura.

Ma, a causa dell'influenza del Buddhismo, il sistema Samkhya è diventato completamente ateo. Il Buddhismo ha rimesso in discussione questa realtà del Sé. Il Samkhya ha accettato la sfida, ed argomentato con ragionamenti strettamente logici, pur concedendo che non c'era alcuna prova dell'esistenza di Iswara , Dio. È per confutare questo approccio logico ateo che Shankara dice che non è con il Samkhya che viene la liberazione.

L'azione, qualunque sia la sua natura, deve diventare una disciplina spirituale. Diversamente essa diviene una costrizione per l'anima e spossa le sue risorse spirituali. L'aspirazione spirituale dovrebbe diventare una risposta totale alla Realtà. Normalmente, una parte della nostra vita è separata dalla totalità ed è impegnata in un'attività che non ha niente a che vedere col resto. L'aspirante lotta per raggiungere la coscienza superiore. Questo non dà frutti se non quando tutta la personalità è perfettamente integrata ed ogni sforzo connesso direttamente alla coscienza superiore. E' solo quando le energie fisiche e mentali sono contenute e dirette verso la ricerca spirituale che l'anima è condotta verso le cittadelle della coscienza superiore. Se questa facoltà intuitiva superiore non è sviluppata, è impossibile trasformare l'azione (karma) in yoga.

Poi, l'intero universo è in stato dinamico. E, così come ogni cellula del corpo fa costantemente il lavoro che le è stato assegnato e rende la vita dell'organismo umano possibile, così tutti gli esseri viventi lavorano al mantenimento del flusso incessante della corrente universale della vita. Ognuno sembra avere un ruolo da interpretare nell'economia misteriosa dell'esistenza, e questo fa dell'azione disinteressata una legge naturale. Ma l'ego cerca di riportare a se stesso una parte dell'azione universale e proclama che essa gli appartiene. È così che l'azione egoistica diventa una "reazione", la reazione dell'ego al flusso della corrente della vita nella personalità. È un tentativo disperato dell'ego per trattenere ciò che appartiene alla corrente universale. Ecco perché l'azione fatta con desiderio crea altrettante lotte, tensioni e sofferenze. L'egoismo è l'unica causa delle nostre sofferenze. L'azione disinteressata è spontanea, naturale, rilassante e pacifica. Shankara ce lo insegna dicendo: "Non è attraverso l'azione che viene la liberazione".

Riflettiamo su quello che dice la Bhagavad Gita nel versetto seguente:

"Essendo giunti fino a Me (cioè la Realtà), essi (individui) saranno liberati di ogni nuova nascita, dimora della sofferenza e della morte, essi avranno raggiunto la perfezione più elevata".

"Tutti i mondi, compreso il mondo di Brahman (chiamiamolo il cielo) possono ritornare, ma quando si giunge a Me (cioè la Realtà, o addirittura se si diventa uno con lei), allora non c'è più nascita".

57. L'istruttore fornisce un esempio nel versetto cinquantasette.

"La bellezza d'uno strumento musicale, come il sitar, può piacere ad alcuni. Il talento dell'artista dà piacere solo a quelli che possono apprezzarlo. Dunque, lo strumento non darà la stessa felicità agli uni e a tutti allo stesso modo. La bellezza di un fiore può attirare tutti, ma il nettare che è nel suo cuore non può essere aspirato che dall'ape".

58. "L'erudizione, una dizione perfetta, una ricchezza di vocabolario e l'arte di esporre le Scritture - tutto questo dona piacere all'erudito ma non porta la liberazione".

Noi abbiamo numerosi esempi negli insegnamenti di Sri Ramakrishna, che sono analoghi a quelli di Shankara. Eccone alcuni.

“Tutte le sacre Scritture mostrano il cammino che porta Dio. A che pro ricorrere a i libri una volta che conoscete questo cammino? Allora, è venuto il tempo della comunione solitaria la vostra anima con Dio.

Un uomo, che abitava in un villaggio, aveva ricevuto da un parente in campagna una lettera che lo pregava di comprare diverse cose. Al momento di occuparsene l'uomo si rese conto che aveva smarrito la lettera. Dopo averla a lungo cercata finì per ritrovarla. Egli la rilesse ed ecco cosa c'era scritto: “Mandami 10 libbre di dolciumi, 100 arance e otto pezzi di stoffa”. Egli andò a fare gli acquisti necessari e poi gettò la lettera.

Per quanto tempo una lettera simile avrebbe valore per voi? Finché non conosceste il suo contenuto! Poi vi sforzereste di acquistare le cose richieste. Le sacre scritture non fanno che mostrarvi il cammino che porta Dio, cioè il modo di realizzarlo. Una volta conosciuta la via, sforzatevi di arrivare al Fine, che è la Realizzazione.

Il sapere più elevato, para vidya , è quello grazie a cui noi conosciamo Dio. Tutto il resto, semplici Shastra * , filosofia, logica, o grammatica sono dei fardelli che affaticano lo spirito. Le Scritture ( granthas ) sono a volte dei granthis (nodi). Esse sono utili solo quando portano a para vidya, il sapere più elevato.”

Molti pensano che la conoscenza di Dio non può essere raggiunta senza lo studio delle scritture. Ma, al di sopra della lettura c'è l'ascolto, e al di sopra dell'ascolto c'è la visione, la "realizzazione". Ascoltare un istruttore parlare della Saggezza fa un'impressione ben diversa che leggere una pagina su di essa in un libro. Ma vedere è la più forte delle impressioni! E' più interessante ascoltare parlare di Benares da qualcuno che l'ha visitata, che leggerne una semplice descrizione, ed è ancor meglio andare di persona a visitare Benares!

Due specie differenti di uomini possono arrivare, in questo mondo, alla conoscenza del Me, che è uno dei cammini che portano a Dio. I primi sono quelli il cui spirito resta sgombro da ogni insegnamento e non è influenzato dai pensieri altrui. I secondi sono coloro che, avendo studiato scienze e religioni, hanno capito, al termine dei loro studi, il nulla del loro sapere.

In un pellegrinaggio attraverso l'India del sud, Chaitanya Deva incontrò un uomo pio che piangeva mentre un pandit leggeva davanti a lui una pagina della Gita. Quest'uomo non conosceva neppure l'alfabeto e non avrebbe potuto leggere un versetto della Gita. Quando gli si chiese perché piangeva egli rispose: "E' vero che io non so leggere, ma durante la lettura, vedevo con la mia vista interiore la bella forma del mio Signore Krishna, seduto sul carro di Arjuna, sul campo di battaglia di Kurukshetra e l'ascoltavo enunciare questi sublimi pensieri riportati nella Gita. E' questo che mi ha riempito gli occhi di lacrime di gioia e d'amore". Quest'uomo incolto aveva la più alta Conoscenza, perché aveva un puro amore per Dio e lo realizzava.

Un padre aveva due figli. Quando ebbero raggiunto l'età per entrare nel primo dei quattro stadi della vita, quello di Brahmacarian , essi furono posti sotto la direzione di un precettore religioso per studiare il Vedanta. Dopo un lungo lasso di tempo, i ragazzi tornarono a casa. Il padre domandò loro se avevano letto i Veda e, alla loro risposta affermativa, li pregò di dirgli chi era Brahman.

Il primogenito, citando i Veda ed altri libri sacri, spiegò: "Oh! Padre mio! Non si può spiegare Brahman attraverso parole ed egli non può essere conosciuto dal nostro spirito. Egli è questo ed è quello", e per fondare le sue affermazioni citò ancora dei testi vedantici. "Così", disse il padre "tu conosci Brahman. Bene, puoi andare a dedicarti alle tue occupazioni".

Poi pose la stessa domanda al figlio più giovane, ma questi non cercò di parlare: rimaneva silenzioso e nessuna parola uscì dalla sua bocca. Suo padre allora disse: "Tu sei nel vero figlio mio, nulla può essere detto dell'Assoluto e dell'Incondizionato. Appena cerchi di parlarne riduci l'Infinito al finito, l'Assoluto al relativo, l'Incondizionato al condizionato. Il tuo silenzio è più eloquente che se tu citassi a questo proposito un centinaio di testi e altrettante autorità qualificate".

Un certo re si faceva leggere ogni giorno la Bhagavad Gita da un pandit molto erudito. Alla fine di questa lettura giornaliera, il pandit diceva abitualmente: "Sire, avete capito bene che cosa vi ho letto?" Il re rispondeva semplicemente: "Caro pandit, siete voi per primo che dovete comprendere questi testi".

Il pandit rifletteva su questa risposta tornando a casa. Perché dunque - diceva tra sé e sé - il re mi ripete ogni giorno: "siete voi che dovete comprendere i testi"? Era un pio bramino e nel giro di qualche tempo, egli sentì il suo spirito risvegliarsi in lui. Egli comprese che l'adorazione del Signore è la sola cosa necessaria. Rinunciò al mondo e ai suoi piaceri. Il giorno in cui lasciò la sua casa per andarsene nella solitudine mandò al re il seguente messaggio: "Sire, finalmente sono arrivato a capire il senso giusto della parola di Dio, ed è: “rinuncia a tutto per l'amore del Signore”.

* Testi sanscriti non religiosi che trattano tutti i rami della conoscenza e delle leggi