Swami Veetamohananda

VIVEKA CHUDAMANI

(Il gran gioiello della discriminazione)

(80-87)

Traduzione di Amanzio Borio

Molti tra di noi accarezzano la segreta speranza che un giorno sperimenteremo una trasformazione improvvisa e spettacolare. La vita, tuttavia, raramente sembra andare così. La nostra speranza di vita si ritrae, noi veniamo meno e moriamo sempre. La nostra salute migliora, ma siamo, di tanto in tanto, ancora malati. La nostra risposta alle difficoltà cambia, ma noi continuiamo ad affrontare nuove sfide.

Quando ci svegliamo ogni mattina, saliamo sul ring della vita quotidiana per lottare contro le sue sfide, non solo contro le sfide esteriori che ci vengono dagli altri o dalle nostre occupazioni, ma anche contro i conflitti interiori come la paura, l'insicurezza, la gelosia, l'invidia e la mancanza di fiducia in se stessi.

La vita ci conforta rispetto a quello che ci disturba e disturba ciò che è per noi confortevole. A volte, lo choc arriva venendo da nessuna parte. Può essere una crisi finanziaria, una morte in famiglia, un divorzio, una malattia o un incidente...

Questo crea una tensione che ci urta e ci disorienta, ma anche, ci risveglia dal nostro confortevole assopimento e diventa un catalizzatore per il nostro inconscio. Così, si allarga il nostro punto di vista rispetto alla vita. Ci domandiamo allora: che cosa è la mia vita? Chi sono io? Dov'ero e dove sono diretto?

80. Versetto 80:

<<Attraverso la discriminazione, noi distruggiamo lo "squalo" dei piaceri sensoriali con la spada dell'autentica rinuncia. E' cosi che si attraversa l'oceano di questo mondo superando tutti gli ostacoli.>>

In questo mondo condizionato, la soddisfazione resta una sfida. Noi continueremo ad affrontare i guadagni e le perdite, gli alti e bassi. Talvolta, sembra che non possiamo contare che sui paradossi, lo humour e il cambiamento.

81. Ecco perché Shankara dice nel versetto ottantuno:

<<Sappiate che quel folle che procede sul terribile cammino dei piaceri sensoriali si avvicina alla rovina ad ogni passo. E state pur certi che colui che procede sul cammino indicato da un istruttore benevolente ed affidabile, e che utilizza la sua capacità di giudizio, raccoglie il frutto superiore della conoscenza di Brahman .>>

Noi aspiriamo a questi due ideali: una vita prospera e piena di sensi e l'illuminazione spirituale. Ma noi sperimentiamo un conflitto tra i due. Il Viveka Chudamani ci insegna che l'unico modo di risolvere questo conflitto è di sottomettere l'aspirazione al benessere materiale a quella dell'illuminazione spirituale. Solo l'illuminazione deve diventare, per l'aspirante, il supremo "benessere". Tuttavia rimane un problema corrente, noi dobbiamo, necessariamente, funzionare con certe condizioni, psicofisiche, ambientali, relazionali, etc. Noi abbiamo spesso l'impressione che, a meno che queste condizioni non cambino, non potremo mai ottenere il "benessere".

E che dire allora dell'illuminazione!

Per esperienza, tuttavia, sappiamo che tutto è costantemente in cambiamento in questo mondo fenomenico. Ed esiste, per ciascuno di noi, un quadro generale di condizioni che è aldilà del nostro controllo. Per esempio, noi non possiamo trasformare facilmente il nostro fisico o il nostro mentale. Noi non possiamo vivere con un intero gruppo di persone nuove e farle agire come noi vorremmo che agissero! Molto sovente, abbiamo la stessa professione, nello stesso luogo per tutta la nostra vita! E anche se riuscissimo a cambiare alcune condizioni generali, possiamo, con nostra grande costernazione, accorgerci che là, nel posto nuovo, ci attende esattamente lo stesso problema.

Ecco una storia.

Il re passeggiava, all'alba, nei suoi giardini quando incontrò il suo cavaliere preferito che veniva verso di lui, correndo a perdifiato. "Sire -disse- io devo domandarvi un grande favore. Prestatemi il vostro destriero più veloce. Ho appena incontrato Yama, il Dio della morte, che mi ha detto <<a presto!>>. Partirò subito per andare molto lontano da qui, a Baghdad, e così potrò, senza dubbio, sfuggirgli." Il re, che l'amava molto, accettò e gli augurò buona fortuna. Continuò la sua passeggiata e, ad una svolta del viale, si trovò di fronte al rosso Yama sul suo bufalo: "Mi sono appena accorto che il tuo favorito sta cavalcando di gran carriera. Dove va? Perché ha così fretta? Il nostro appuntamento è ancora lontano, soltanto al calare della notte a Baghdad!"

Questo ci indica chiaramente che noi dobbiamo essere preparati ad affrontare problemi inattesi in qualsiasi posto e in qualsiasi momento.

Abbiamo dunque bisogno di comprendere queste verità importanti della vita:

a) dalle condizioni che ci sono offerte deve emergere una nuova vita;

b) dalle circostanze stabili dobbiamo trarre valori superiori;

c) dobbiamo giungere all'illuminazione in questa stessa vita.

82 . Shankara dice nel versetto ottantadue:

<<Se voi desiderate veramente la liberazione, tenete lontani gli oggetti dei sensi come se fossero veleno; e inebriatevi, assiduamente e con delizia, di virtù come la gioia interiore, la compassione, il perdono delle ingiurie, la rettitudine e il controllo di sé, come se fossero nettare.>>

Otteniamo dal cosmo tutto ciò di cui abbiamo bisogno per svilupparci ed evolverci. Sapere questo ci aiuta ad andare avanti positivamente, anche se le circostanze sono difficili a causa delle forze esterne. Forse siamo una vittima dell'ingiustizia sociale? Forse siamo nati in una parte materialmente molto povera del mondo? O forse crediamo che siamo in questo mondo perché era scritto nelle stelle (per esempio il karma etc.)?

Molte anime coraggiose sono andate al di là di un destino atteso, hanno superato le difficoltà e sono diventati degli esempi luminosi per noi tutti. Anche se possiamo non essere gli unici creatori della nostra vita, noi non possiamo essere completamente sotto la cappa del destino, noi abbiamo un'influenza potente sulla nostra sorte. Non avete notato che, quasi sempre, noi ci creiamo o ci distruggiamo con le nostre stesse mani? Uno dei più grandi fattori che ci permette di evolvere dipende dal sentimento di merito che ci attribuiamo. Il senso del nostro merito, cioè del nostro proprio valore, è quello che conta di più. Non vediamo forse quanto si svalutano quelli che assumono droghe, diventano alcolizzati, quanto essi si feriscono o si ammalano fuggendo da se stessi. Ecco perché Shankara consiglia di fuggire tutti i piaceri dei sensi come se fossero veleno.

Noi abbiamo bisogno di sentirci valorizzati dal successo, l'amore e l'abbondanza. Quando ci sentiamo bene, stiamo bene con tutti quelli intorno a noi. Abbiamo bisogno di vivere una vita più sana e più lunga. L'atteggiamento che abbiamo verso la vita procura la soddisfazione.

Semplici atti di umiltà possono aiutarci a perdonare gli altri e noi stessi. Per esempio, eravate occupatissimi nei vostri lavori domestici quando vostro figlio, o vostra figlia, è venuto a disturbarvi e voi vi siete arrabbiati. Più tardi, vi siete scusati e avete sentito immediatamente un dolce calore avvolgervi tutti e due quando vi siete abbracciati in segno di perdono. Questo tipo di perdono stimola la nostra evoluzione spirituale.

Uno sviluppo costante della coscienza dell'obiettivo superiore della nostra vita è un metodo potente di controllo di sé, di tranquillità, etc.

83. Il versetto ottantatré dice:

<<L'uomo dovrebbe essere sempre occupato a liberarsi dall'asservimento all'ignoranza, che è continuo. Colui che trascura questo dovere e che è appassionatamente assorbito a soddisfare i bisogni del corpo, commette un suicidio. Perché il corpo è un semplice veicolo di esperienze per lo spirito umano>>.

84. Versetto 84:

<< Colui che si sforza di trovare l' Atman soddisfacendo i bisogni del corpo, è come quel folle che cerca di attraversare un fiume aggrappandosi ad un coccodrillo, scambiandolo per un tronco d'albero.>>

Nulla ostacola tanto una crescita interiore sana quanto la paura ed il sospetto. Non potremo mai essere liberati dalla paura se siamo attaccati. Noi temiamo sempre di perdere ciò a cui siamo attaccati, che sia il nostro corpo, o il nostro beneamato, il nostro cane, qualunque dogma, una fissazione o una condotta. E dalla paura nasce tutto un gioco di cattive emozioni e difetti come il sospetto, la gelosia, l'invidia, l'odio e l'ipocrisia.

La maggior parte di noi può facilmente comprendere come questo sentimento di paura sia il risultato di reazioni personali di sopravvivenza, di sicurezza, di ricerca di scampo. Possiamo così capire come la collera e la frustrazione possano scaturire dopo manifestazioni di autorità e di disciplina. L'associazione dispiacere e piacere dei sensi può sembrare molto sottile, ma non per questo è meno reale.

Le emozioni negative come la paura, il dispiacere e la collera hanno effetti e conseguenze. Le difficoltà emozionali destabilizzano il corpo e diminuiscono la nostra resistenza alla malattia e al contagio, così come ad altri problemi esistenziali. Se non vogliamo essere presi nella bufera dei problemi, dobbiamo essere distaccati.

85. È per questo che, nel versetto ottantacinque, Shankara consiglia con molta forza il distacco agli aspiranti:

<< L'attaccamento al corpo, agli oggetti ed alle persone è considerato come fatale per chi ricerca la liberazione. Colui che ha completamente superato l'attaccamento è pronto per la liberazione.>>

Osserviamo un qualunque momento della nostra vita. Dal mattino alla sera, dalla sera al mattino diversi bisogni si susseguono. Noi ci alziamo prendendo un caffè, ascoltiamo le notizie alla radio o alla televisione, leggiamo il giornale, riviste, mandiamo messaggi stereotipati per le nascite, le morti, gli incidenti, eccetera. Tutto questo perché? Perché siamo attaccati agli oggetti materiali. I trattamenti agli estrogeni o al progesterone aiuteranno alcuni a conservare il corpo eternamente giovane. Tuttavia, anche se costoro danno l'impressione di essere dei boccioli di rosa all'alba, non avranno forse, da qualche parte, mancato nei confronti della dignità e dello scopo della vita?

La giovinezza eterna non è nei piani della natura. Il consiglio insistente che Shankara ci dà è che non bisogna considerare che solo il benessere del corpo conti nella vita. Egli ci predica il distacco al fine di rivalutare la bellezza dello sviluppo del mentale e dello spirito, molto superiore a quello della semplice carne, e con cui ogni frustrazione ed ogni guaio spariscono. Quello sviluppo permette di sperimentare la dolcezza, la pace e la luce.

Versetto 85:

<< Distruggete questo mortale attaccamento al corpo, al sesso, alla famiglia, agli amici, eccetera. I saggi che l' hanno superato si innalzano fino alla dimora del Signore Onnipresente.>>

Versetto 87:

<< Questo corpo che è fatto di pelle, di carne, di sangue, di arterie, di vene, di midollo e di ossa è pieno di rifiuti e di sostanze sgradevoli. Non merita la nostra attenzione.>>

Per diventare assoluti ed eterni, abbiamo bisogno di scuoterci tutto d'un colpo i problemi e le torture della vita, e di spezzare le barriere all'ignoranza.

Riflettiamo su questa storia.

In un villaggio viveva un pasticciere. Il suo negozio era ben conosciuto nel villaggio, ma anche in tutti i dintorni. Guadagnava molto denaro. Tutto il denaro che non era speso era nascosto in un posto molto segreto, sconosciuto anche a sua moglie e ai suoi figli.

Un torrido giorno d'estate, un monaco entrò in questo negozio. Il pasticciere, che era un brav'uomo, gli offrì una bevanda fresca e qualche dolce. Il monaco portava vestiti sdruciti, e per il pasticciere fu un piacere rimetterli in ordine. Il monaco voleva ringraziarlo e gli propose di portarlo in paradiso. Il pasticciere rifletté un momento, poi implorò: "Oh Maestro! Chi non vorrebbe andare in paradiso? Io sono veramente benedetto da voi! Ma, come sapete, ho questi due bambini piccoli che hanno ancora bisogno di me. Sarebbero molto infelici se io li lasciassi senza aiuto. Se voi aveste la bontà di accordarmi otto anni per rimanere con loro, sarebbe una grazia! Allora sarei libero da ogni preoccupazione per andare in paradiso con voi."

Il monaco, pieno di compassione accettò la proposta dell'uomo, notando tuttavia che egli era più attirato dai suoi figli che da Dio o dal paradiso.

Otto anni dopo, il Monaco tornò dal pasticciere. Anche questa volta il buonuomo lo implorò: "Maestro riverito, guardate i miei figli. Ecco che mascalzoni sono diventati! Spendono tutto il mio denaro bevendo liquore in cattive compagnie. Io devo spingerli a mettersi a posto nella vita. Ho bisogno di guadagnare altro denaro perché possano essere ben sistemati. Accettate di aspettarmi altri otto anni, Maestro riverito!"

Il monaco notò di nuovo che l'attaccamento del pasticciere alla sua famiglia era più grande del suo amore per Dio e per il paradiso. Tuttavia, accettò di tornare otto anni più tardi.

Passarono altri otto anni, e il Monaco, come promesso, tornò. Questa volta, con suo grande stupore, vide che il negozio, un tempo fiorente, adesso era ridotto ad una povera, piccola drogheria dal tetto di paglia in uno stato pietoso, dove il figlio primogenito vendeva merce di cattiva qualità. Egli chiese notizie del pasticciere e il ragazzo rispose: “Ahimè, signore, egli è morto da sette anni lasciandoci in un oceano di miseria. Come potete vedere, io vendo le merci qui e mio fratello ara il campo. La vita continua nel bene e nel male.”

L'eremita l'ascoltava silenziosamente. Sapeva perfettamente che il pasticciere si era reincarnato in uno dei due buoi che, condotti dal secondogenito, aravano la terra. Aspettò che il ragazzo staccasse i buoi e se ne andasse, per poi dirigersi verso gli animali. Gettò qualche goccia dell'acqua sacra contenuta nel suo vasetto sulla testa del bue perché si ricordasse della sua nascita precedente. Il bue si ricordò la promessa fatta al sant'uomo. Ma anche stavolta aveva una scusa: “Sì Signore, lo so che è il giorno del nostro appuntamento! E tuttavia, come potete vedere, la povertà che regna intorno a noi mi impedisce di seguirvi. Concedetemi generosamente altri due anni perché possa vedere la situazione migliorare, altrimenti questi due ragazzi pazzi e disgraziati che sono i miei figli sono sicuri di morire di fame.” L'eremita trovò che l'attaccamento alla vita del pasticciere era veramente molto forte! Tuttavia, se ne andò promettendo di tornare due anni dopo.

Due anni più tardi, il buon monaco tornò nel villaggio. Con sua grande meraviglia vide che la drogheria era chiusa. Si diresse allora verso la casa della famiglia, dove fu accolto dal latrare di un cane magro e affamato. Chiamò, e il figlio primogenito gli raccontò come il bue fosse morto di fatica lavorando. Il monaco seppe immediatamente che il pasticciere si era reincarnato nel cane che faceva la guardia a quel che rimaneva della proprietà. Gli ricordò le sue nascite precedenti e la sua promessa. Questa volta, l'uomo cane disse: “Maestro riverito, concedetemi ancora qualche anno per vedere la situazione dei miei figli migliorare con quel che resta della proprietà. Altrimenti saranno saccheggiati dai ladri dei dintorni. Io faccio la guardia alla casa per il bene dei miei figli.” Il monaco ascoltò silenziosamente e promise di tornare più tardi.

Il tempo passò e il monaco, come promesso, tornò nel villaggio. Al posto della vecchia casa del pasticciere vide solamente due capanne. S'informò e seppe che i due fratelli, dopo aver litigato, erano ricorsi alla giustizia ed ora erano ridotti in estrema povertà. Il sant'uomo andò a vederli ed essi lo informarono che il cane era morto. Egli sapeva, grazie al suo potere divino, che adesso il pasticciere era diventato un serpente, e che viveva in una cavità sotterranea, situata proprio sotto quella che un tempo era stata la sua camera. Egli sapeva anche che il serpente se ne stava arrotolato attorno alla giara che conteneva tutto il tesoro segreto del pasticciere. I due fratelli cominciarono ad insultarlo dicendo che tutte le loro sventure provenivano delle sue cattive intenzioni. Calmo e impassibile, il monaco rispose: “Cari amici, siete diventati così poveri? Volete del denaro? Allora andate a scavare nel luogo dove vostro padre un tempo dormiva. Qualunque sia la quantità di denaro che troverete, dovrete dividerla equamente tra di voi.

I due fratelli cominciarono a scavare e trovarono la giara cui faceva la guardia il serpente velenoso. Pensarono che il monaco volesse che essi morissero morsicati dal serpente. Leggendo nei loro pensieri, egli disse: “Pensate che io stia mentendo? Non vedete che la giara è piena fino all'orlo di denaro? Uccidete questo serpente e tutto sarà vostro.” I fratelli diressero la loro collera contro il serpente e lo uccisero. Il monaco liberò lo spirito del pasticciere che vi era racchiuso e lo portò in paradiso.

Così è la tenacia con cui noi ci attacchiamo al mondo e alla vita, e che causa tutte le nostre sofferenze.

Lasciatemi ricordare le parole di Swami Vivekananda:

“Siamo venuti qui per dilettarci del miele e ci ritroviamo con le mani e piedi invischiati. Siamo presi, noi che siamo venuti per prendere. Siamo venuti per gustare e veniamo gustati. Siamo venuti per comandare e veniamo comandati. Siamo venuti per agire e veniamo utilizzati. Continuamente, dobbiamo affrontare questa situazione, in ogni dettaglio della nostra vita. Noi siamo utilizzati dagli uni e lottiamo sempre per avere ascendente sugli altri. Vogliamo assaporare i piaceri della vita e questi piaceri consumano i nostri organi vitali. Vogliamo ottenere tutto dalla natura, ma ci accorgiamo che alla lunga è la natura che prende tutto di noi - che ci si spossa, che ci respinge. Se non fosse così, la vita sarebbe come un grande sole risplendente. Ma che importa! Con tutti i suoi fallimenti e tutti i suoi successi, con tutte le sue gioie e tutti i suoi dispiaceri, essa può, tuttavia, essere una successione di soli risplendenti a condizione di non lasciarsi prendere.

Ecco una delle cause le nostre sofferenze: siamo attaccati, siamo presi. Per questo la Gita dice, agite costantemente, Agite, ma non siate attaccati, non siate presi. Custodite il potere di distaccarvi da tutto, qualunque sia il vostro amore, qualunque sia il desiderio ardente della vostra anima, qualunque sia l'angoscia della sofferenza che voi temete di provare distaccandovi. Preservate il potere di abbandonare tutto, quanto lo deciderete.”

La soluzione perfetta offerta dallo Swami è questa: “Noi mettiamo tutta la nostra energia per concentrarci su qualche cosa e per attaccarci a quella. Ma, per altro verso, benché non sia più difficile, non prestiamo alcuna attenzione alla facoltà di distaccarci seduta stante da qualunque cosa. L'attaccamento e il distacco, entrambi correttamente sviluppati, rendono l'uomo grande e felice.”

Solamente chi, avendo il potere di attaccarsi a qualche cosa con tutta la sua energia, avrà anche il potere di distaccarsene quando sarà venuto il momento di farlo, solo quello sarà capace di ottenere il meglio dalla natura.

Noi dobbiamo coltivare il potere di concentrazione e di attaccamento così come il potere del distacco. Se un uomo possiede in ugual misura questi due poteri, quest'uomo ha raggiunto il massimo grado dell'umanità. Non potrete mai renderlo infelice, anche se l'universo intero crollasse intorno a lui.

Come possiamo ottenere questo potere? Si può conseguirlo attraverso il controllo di sé di cui abbiamo già lungamente parlato.

Avere un attaccamento controllato significa essere una persona perfettamente concentrata, coinvolta personalmente in una situazione, che, anche così implicata, mantiene la possibilità di ritirarsi immediatamente a piacere. Il termine “attaccamento” qui non significa un'implicazione personale che abbia per base un'ignoranza senza limiti.

Che cosa succede veramente quando diventiamo attaccati a qualsivoglia cosa in una maniera materiale? Diventiamo prigionieri dell'effimero, del caduco. E qualunque sia il piacere che possiamo prendervi, noi limitiamo la nostra infinitezza personale. E tutte le nostre sofferenze, in ultima analisi nascono dalla creazione di imitazioni artificiali all'interno di una verità illimitata.

“ Non c'è felicità nel limitato. Solo nell'illimitato risiede la felicità”, dice una Upanishad.

Nell'essenza del nostro vero essere, l' Atman , noi siamo illimitati. Nessun fatto è più vero di questo. Ma, a partire dal momento in cui coltiviamo l'attaccamento, noi imponiamo dei limiti all'interno della nostra infinitezza, a un punto tale che troviamo difficile perfino credere a questo fatto del nostro essere. La speranza resta tuttavia che queste imitazioni artificiali imposte dall'attaccamento non possano, in alcuna maniera, alterare la vera natura reale del Sé. A tutta prima, come un uomo che facesse un cattivo sogno, noi soffriamo di angosce che non sono più reali dei sogni.

E' unicamente attraverso la pratica del distacco che possiamo ritrovare la coscienza della vera natura del Sé, questo è l'insegnamento del Viveka Chudamani.